Ho aspettato oggi per inviare la nuova puntata di Per le rime per far coincidere la chiacchierata con Valentino Ronchi con l’uscita della sua ultima raccolta di poesie: "Ma tu l'hai letto Il giovane Holden?". Se ti stai chiedendo perché s’intitola proprio così, qualche riga di pazienza: ce lo spiega lui.
La raccolta esce per Graphe.it edizioni nella collana Le Mancuspie, diretta da Antonio Bux, che già abbiamo avuto modo di conoscere qualche puntata fa. Gli incontri sono semi.
Valentino Ronchi, già autore di romanzi e sillogi poetiche di rara eleganza, torna con una raccolta di versi che cattura l'attenzione per la sua capacità di frammentare la vita in sequenze ipnotiche di senso. Un caleidoscopio di incontri, situazioni e paesaggi cesellati tra le pagine, dove l’Hinterland di Milano si fonde con altre periferie più distanti, anche quelle dell'animo umano. Lingua semplice legata al dialogo che porta alla luce epifanie del quotidiano, mentre il risvolto civile, quasi mai di denuncia ma più un'espressione di un sentimento laico, è uno degli architravi della poetica dell'autore lombardo. Versificare tagliente, ironico e irriverente che lega l'incontro tra il dettato lirico e un atteggiamento di tendenza narrativa. Un'opera da non perdere per gli amanti della poesia contemporanea.
VALENTINO RONCHI (Milano 1976) ha pubblicato i libri di poesia L’epoca d’oro del cineromanzo (nottetempo 2016), Primo e parziale resoconto di una storia d’amore (nottetempo 2017), Buongiorno ragazzi (Fazi 2019) e i romanzi Riviera (Fazi 2021) e Quasi niente (fve 2024).
Una chiacchierata con Valentino Ronchi
Se c’è un modo di avvicinare potenziali lettori alla poesia, per me è la sua normalizzazione.
Proiettare i versi in una quotidianità che è di tutti per renderci conto che la respiriamo sempre se ci facciamo caso, anche nelle piccole rivelazioni delle nostre giornate. Anche nel dubbio, nel brutto, nel marginale.
Valentino Ronchi ci ricorda che la poesia vive non solo nella quotidianità ma anche nel suo riemergere dalla memoria, nelle suggestioni che questa riporta a galla. Ed ecco che paesaggi, spiagge, vacanze, primi amori, domeniche, infanzie riemergono attraverso un racconto elegante e poetico sì, ma anche estremamente narrativo. Fotogrammi da leggere che passano davanti alla nostra immaginazione.
(Glicine a Populonia. La rocca) E tu, cos’hai da dirmi di te? Fai il duro il romantico il poeta il suonatore lo scappato di casa incompreso, il taciturno il calciatore ma ti passerà, forse, col tempo. Scoprirai gli strafalcioni nascosti nei migliori pensieri, nella voglia stretta nei pantaloni, come allo sfalcio del glicine si scopre un passaggio in giardino, una porta impensata su una terrazza. E cercherai intorno, affannato, qualcuno cui chiedere scusa. E amerai ancora, ma più piano, con una specie di parsimonia, una dolente ritrosia, a ben volerla nominare un’armonia, un tocco d’eleganza, impensabile impensato, a guardarti qui, ora come ora. Valentino Ronchi, "Ma tu l’hai letto Il giovane Holden?"
Partiamo dal titolo: una domanda che inizia con un’avversativa, come se fosse il prosieguo di un discorso più ampio. Una domanda che introduce un argomento e apre a una nuova conversazione. Perché ma e perché Il giovane Holden?
Ma tu l’hai letto Il giovane Holden? è una domanda che io attribuisco a un periodo preciso della vita: l’ultimo anno di liceo e il primo di università. Quando lo studente prende coscienza dei suoi mezzi, ma conserva la bontà e la felicità dell’esser ragazzo. Quindi lo chiede per il gusto di condividere, di donare. Non per altri motivi. Quindi il ma, che giustamente consideri avversativo, in effetti permette di riattaccarsi a un discorso cominciato, il discorso degli inizi di qualcosa. Un discorso collettivo.
Il giovane Holden è un trabocchetto però: in realtà più del libro in sé m’interessa la domanda e il contesto – irripetibile – entro il quale nasce.
Ricordi quando lo hai letto tu, Il giovane Holden?
L’ho letto grazie a un suggerimento, proprio in quegli anni di cui ti dicevo. Da qui il ricordo di quel momento, contiguo ma diverso dalla altrettanto splendida adolescenza del liceo.
Che ruolo ha avuto la letteratura nella tua crescita?
Enorme. Per quello che mi ha raccontato e per come l’ha raccontato. C’erano le storie e il modo in cui venivano narrate. Delle due cose, forse mi ha sempre più interessato la seconda. Quel raccontare, modulare, a volta con amore, a volte con rabbia, a volte con classe, ironia, con malinconia, con tenerezza.
Qual è il libro che ti ha fatto avvicinare alla poesia? O la poesia che ti ha fatto avvicinare alla poesia?
Credo che mi abbiano avvicinato alla poesia certi libri di prosa. Narrazioni modestamente poetiche, poveramente poetiche, eppure così efficaci… Il narratore che – non è dato sapere quanto consciamente – fa poesia. Certi romanzi, anche italiani, del Novecento, per esempio, così cesellati nella scrittura, evocativi. Bilenchi, ad esempio. O certi Gettoni, che in poche pagine regalavano un intero mondo poetico.
La tua parola preferita?
Mi ricordo un brano di Longanesi nel quale chiedeva di essere seppellito soltanto sotto un lenzuolo di parole, e ne faceva un piccolo elenco. Mi folgorò quando lo lessi, mi sembrò una richiesta geniale e dolcissima. Di parole ne amo moltissime, e farei un torto a tutte le altre citandone una come preferita. Mi viene in mente però che nel mio libro, in una sezione, Tutti i campi collegati, compare spesso la parola domenica, come ebbe a notare in una serata in pubblico una cara amica. Domenica, con tutto quanto evoca questo giorno. Quel momento in cui la vita è, per certi versi, più vita del resto del tempo a nostra disposizione.
