Eccoti ed eccoci a un nuovo appuntamento con le rime, che questa volta arriva di sabato (e il perché potresti scoprirlo nella prossima newsletter). Qui, come sai, si parla di finestre sul mondo e sul linguaggio con una costante, i versi.
Li vogliamo legare al qui e ora, li vogliamo leggere da vicino e sentire nostri. Vogliamo spolverare la poesia e avvicinarla al presente, maneggiarla con cura, ma maneggiarla.
Per questo ho pensato che Per le rime avesse bisogno di un altro ingranaggio, e cioè di dare voce a chi la poesia la fa davvero.
Così, la nuova rubrica Poetare con… ci fa sedere nel salotto che desideriamo e ci fa dialogare con una poetessa o un poeta, con un editore o un’editrice. O chissà.
Per inaugurare questo nuovo corso sono andata dritta verso Maria Grazia Nappa. Non voglio dilungarmi troppo e di lei non riporterò altro che le sue parole perché, come ci siamo dette, il bello di stare qui è non avere limiti di spazio né subordinazione.
Grazie, Maria Grazia, di essere qui.
Maria Grazia Nappa
Per iniziare ho scelto due poesie da La grazia degli invisibili, la sua ultima raccolta edita CartaCanta editore. Io mi sono innamorata del suo poetare qualche anno fa. Se vuoi ascoltarla recitare i suoi versi, ti consiglio di correre sul canale Youtube.
Ama
Qualora dovessi partire,
andare, sparire,
tu scegliti sempre
sorprenditi sempre.
Sii straordinaria come la stella alpina
varca la riva degli anni sui ponticelli di legno,
esagera come una regina.
Qualora dovessi morire
ai tuoi vasti occhi
augurerei un lutto gentile,
affinché tutto di te
rifiorisse dal mare.
Mezzogiorno di maggio
Sono destinata a minuscoli pezzi di cielo.
Durerei quanto una pagliuzza nella poltiglia
se mi ostinassi a spegnere l’incendio
– il mio stomaco è un nido di rondine –
orticello da cui segretamente
sporge una finestra.
Segretamente, dalle creature del cielo
imparo a conoscere il vento:
la terra incoraggia le nuvole longeve a tingersi magenta,
a pulsare come un bocciolo di tulipano nella pupilla.
Sarà questa forse la gioia effimera, diurna:
una croce che si fa gratitudine.
D’altronde, persino la Stella incontra le ombre;
che gli uomini imparino tutti a rassegnarsi alla vita.
Il salotto in cui siedo virtualmente con Maria Grazia Nappa ha i colori dell’autunno. Il camino è ancora acceso e siamo in montagna, una montagna del centro Italia, o forse più a sud.
Maria Grazia, ne La grazia degli invisibili, la nota introduttiva e richiami disseminati tra i versi omaggiano una grande poetessa italiana scomparsa nel 1996, Claudia Ruggeri. Una presenza costante, una compagnia silenziosa ma pervasiva. Dove nasce e come si è evoluto questo legame con lei?
Vidi una foto di lei in bianco e nero a mezzo busto sei, sette anni fa.
Colta la diversità di una poetessa visionaria procedo verso il suo Inferno minore quando intendo distaccarmi dal personaggio che talvolta interpreto.
Piuttosto di lasciarmi andare all’essere spietatamente me stessa accade ch’io venga accolta da chi non ho mai conosciuto. Perché la lettura in qualche modo chiarifica i dubbi maggiori confinandoli nelle parole. Cerco legami senza tempo. La poetica di Claudia Ruggeri mi concede tale opportunità.
Ho trovato commovente il risuonare dei tuoi versi nella terra, nel paese, nei fiori e negli alberi. Come trovarsi sotto un grande cielo limpido tra le montagne e cambiare con lui attraverso le stagioni. È corretta la sensazione che il genius loci occupi uno spazio predominante nella tua poesia?
Così vorrei romanticizzare l’idea della fine. E che mutino pure le riflessioni circa ogni aspetto della vita. Quasi fossi nella stagione che verrà. Ma è il cielo, soprattutto, a investirmi interiormente. Ai margini di una deflagrazione avviene il distacco dal personaggio cosicché io perda il controllo. Un filo d’erba potrebbe trasfigurarsi in una distesa di viali alberati esasperando oppure minimizzando la realtà. Considero la poesia ricerca dell’universale; in essa scopro ruscelli verdognoli, colori densi, impercettibili folgorazioni.
Com’è avvenuto il tuo incontro con la poesia?
Attraverso una dedica in versi.
Susseguirono vari tentativi, versi acerbi, sfoghi, pensieri. Le prime letture illuminanti, gli esperimenti; infine ricerca affinché talvolta possa sentirmi soddisfatta.
È accaduto a tutti: sentire la morte spingere. Essere sopraffatti dalla colpa di navigare in un pensiero talmente invadente da scegliere di evitarlo. E finiamo così per ammalarci d’altro pur di non accogliere dentro di noi il cambiamento. In quel periodo invece intuii che parte di quel dolore, la fine di un amore, avrebbe trovato giovamento attraverso questo involucro prodigioso ch’io assecondo: la poesia.
Essa fluttua indipendente ma ritorna: è uno stoico incontro tra vittime.
Il tuo legame con la creatività?
Sono attratta dagli artisti maledetti, dal genio che emanano. Io creativa? Al di là di qualche fugace folgorazione, non credo.
Qual è il tuo rapporto con la lettura? Come scegli quello che leggi?
Lessi il Diario di Anna Frank a dieci anni. Soffrivo a causa di un herpes nell’incavo del labbro, per cui, abitualmente, non esponevo il viso al sole nelle ore calde. Quell’anno l’infiammazione si estese lungo metà guancia, pertanto il bruciore coi giorni continuava a peggiorare. Anna Frank salvò la mia estate. Pensai a lei come ad un angelo amico.
Durante gli anni dell’adolescenza fu la scoperta di un grande autore, Sadegh Hedayat, a tracciare in modo definitivo i miei gusti letterari.
Avendo a disposizione una selezione di libri altissimi grazie a mio padre continuo ad assecondare i medesimi gusti. Purtroppo, se non colgo un senso poetico in ciò che leggo, mi annoio. Purtroppo incarno perfettamente questo limite.
Poesia: lentezza, silenzio, pause tra le parole, spazio che si appropria del foglio per isolare e imprimere. Una dimensione così lontana dalla bulimia di informazioni di oggi.
Che spazio ricopre la poesia nella tua vita e quale, a tuo avviso, nella contemporaneità?
Pur essendo una forma d'arte concreta, credo che la poesia scavi all’interno delle menti sospese in una sorta di mistero. Apre orizzonti alternativi benché le dinamiche attuali attraverso le quali esponiamo noi stessi, i social, sviliscano la potenza di un dono.
Percepire l’ispirazione è un’inclinazione per niente rara, consequenziale alla necessità di allestire luoghi interiori ostici da espatriare: chiunque può incanalare emozioni e sensazioni trascrivendole. Poetare invece è un dono.
A volte scrivo insensatamente, come se il senso della mia scrittura fosse priva di centro. Ecco ciò che mai condividerei. Forse l’abuso a cui mi riferisco è una svista poiché s'ammassano in tutte le parole significati gonfi di soggettive interpretazioni.
Qual è la tua parola preferita?
Forse, azzurro.